«BonBon»: Intervista con le due pioniere

Bea Fröhlich (sinistra), educatrice presso il Kita Regenbogen, e Cynthia Gavranic, mediatrice culturale presso il Migros Museum für Gegenwartskunst.

Cynthia Gavranic, mediatrice culturale presso il Migros Museum für Gegenwartskunst, e Bea Fröhlich, educatrice presso il Kita Regenbogen, costituiscono oramai un team affiatato. Insieme, infatti, hanno già visitato due mostre insieme a un piccolo gruppo di bambini di età compresa tra i 9 e i 22 mesi.

Interview & Foto: Ariel Leuenberger

Perché le vostre istituzioni aderiscono a Lapurla?

Cynthia Gavranic: Vogliamo imparare qualcosa di nuovo. Quella dei bambini sotto i due anni è una fascia d’età che non abbiamo ancora coinvolto direttamente e che non saremmo nemmeno in grado di coinvolgere senza partner competenti come gli asili nido. Per noi si tratta di una sfida molto impegnativa che abbiamo voluto accettare.

Bea Fröhlich: Lavoro da 10 anni con bambini da 0 a 2 anni e so per esperienza che le loro capacità vengono molto sottovalutate. Sono sempre stata convinta che anche il Museum für Gegenwartskunst possa offrire loro alcuni spunti interessanti. Il fatto che questi bambini si intrattengano in luoghi che in realtà non sono stati pensati per loro costituisce un incredibile arricchimento per tutti. E volevo dimostrarlo a tutti.

Quali sono stati i momenti più belli e sorprendenti che avete vissuto in questa esperienza?

BF: Ci sono stati momenti in cui i bambini si sono mostrati particolarmente ricettivi nei confronti delle opere d’arte – non mi aspettavo un coinvolgimento così forte. Si notava che dentro di loro si stava svolgendo un processo di ricezione ed elaborazione dell’arte. È stato bellissimo vedere che con il passare del tempo si sentissero a proprio agio e riuscissero a trovare la propria dimensione in un luogo così vasto e che può incutere timore.

CG: Un bambino di 16 mesi è venuto al museo anche con la madre e l’ha accompagnata da un quadro all’altro, trascinandola per le sale e mostrandole i vari ambienti. Anche questa è una dimostrazione che la nostra teoria è fondata: attraverso le visite degli asili nido portiamo nuove persone al museo. Inizialmente molti hanno espresso un forte scetticismo nei confronti di questa idea. Sostenevano che per i bimbi non facesse differenza stare al parco giochi o al museo, dato che non sono assolutamente in grado di comprendere l’arte. Semplicemente non riuscivano a immaginare quello che i piccoli avrebbero potuto fare in un museo. Ma alla prova dei fatti hanno dovuto ricredersi!

Cosa serve perché una collaborazione di questo tipo possa funzionare?

BF: Abbiamo portato sempre gli stessi bambini, abbiamo badato alle loro esigenze primarie e ci siamo avvalse sempre della stessa ambientazione e del medesimo personale. Tutto questo dà sicurezza. Inoltre occorre una grande forza di volontà e un certo entusiasmo da entrambe le parti: bisogna dialogare costantemente affinché l’iniziativa risulti compatibile sia con la quotidianità dell’asilo nido che con quella del museo. Ci siamo fatte visita a vicenda: io sono andata a vedere la mostra e insieme abbiamo «gattonato» per il museo, mentre Cynthia è venuta a trovarci all’asilo.

CG: Se un progetto viene sostenuto con benevolenza e stima reciproche, il successo è assicurato. I bambini, i genitori e le altre persone che ci circondano si accorgono che tra noi ci sono intesa e simpatia. È un fattore che non andrebbe sottovalutato. E serve anche un po’ di elasticità mentale: può capitare che i bambini trovino più interessante il pulsante dell’allarme o l’ascensore rispetto alle opere d’arte. Dobbiamo mostrare apertura in questo senso. Il nostro obiettivo non è ostinarci a trasmettere il valore dell’arte ai bambini, ma far sì che possano vivere questo luogo in tutte le sue sfaccettature.